Tema di oggi: controluce
Il controluce sfrutta la retroilluminazione del soggetto. Questo effetto di solito nasconde i dettagli, provoca un forte contrasto tra luce e buio, crea sagome (silhouette) e sottolinea linee e forme.
Oggi ragioniamo di luce e di come sovvertire il tradizionale e le regole. Nella fotografia in controluce infatti la luce serve ad esaltare le ombre, ci si pone in una condizione di luce abbagliante e si lavora in modo opposto a ciò che il senso comune ci suggerisce di fare.
Dalla casualità o dalla ricerca sull’errore nascono a volte scoperte sorprendenti. Oggi parliamo di una di queste e lo facciamo citando ben tre “mostri sacri”
Usare la luce in modo inconsueto: i rayogrammi
Nel 1922 Man Ray scopre in modo casuale quello che chiamerà Rayograph: un foglio di carta sensibile rimane erroneamente tra i negativi ed esposto alla luce si impressiona delle immagini dei piccoli oggetti di vetro che vi sono stati appoggiati sopra.
I rayogrammi hanno un effetto di tridimensionalità, sono fotografie, ma realizzate senza apparecchio fotografico.
Era, dunque – e non era – fotografia.
Sembrava quasi – e non era – pittura.
Man Ray
Negli stessi anni Moholy-Nagy, il principale docente e teorico di fotografia del Bauhaus, sviluppa una tecnica simile cui dà il nome -meno egocentrico- di “fotogramma”.
Fotogramma, cioè l’immagine luminosa ottenuta senza la macchina fotografica, è il segreto della fotografia. In esso si rivela la caratteristica unica del procedimento fotografico che permette di fissare immagini di luce ed ombra su una superficie sensibile senza l’aiuto di alcun apparecchio. Il fotogramma apre nuove prospettive su un linguaggio visivo ancora completamente sconosciuto e governato da leggi proprie. ”
”L’immagine che si ottiene non è mai un documento, o la descrizione o la rappresentazione di un oggetto, ma la trasformazione dell’immagine di questo oggetto in un puro rapporto di luce ed ombra.”
Moholy-Nagy
Anche Munari si occupa di rayogrammi o fotogrammi e spiega molto bene come procedere per realizzarli
Il fotogramma è un derivato, diciamo così, artistico della radiografia.
Questo non è altro che l’impressione sulla carta sensibile dell’ombra di determinati oggetti appositamente ricercati tra quelli più o meno trasparenti, in modo da creare una impronta personale che resterà fissata in modo negativo sulla carta.
Quando si fanno i fotogrammi, si vede il mondo per trasparenza: tutto quello che passa sottomano si guarda contro luce, una piuma, una foglia, un bicchiere, un altro bicchiere pieno d’acqua, fette di limone o di altri frutti, garza, fili. Esauriti questi oggetti, la cosa si complica: schiuma di sapone, insetti, frantumi di vetro, mica, giocattoli, sabbia, gocce d’acqua; e sempre più difficile: riflessi di specchi, impasti di diverse densità e materiale su lastre di vetro, lenti, spessori, doppie e triple luci, ecc.
Per fare i fotogrammi occorre tutto il materiale inerente alla fotografia e cioè acidi, bacinelle, carta, ma nessun obiettivo o macchina fotografica. Si possono fare di sera al buio. Il procedimento è questo: siamo nella camera oscura (oppure in una camera qualsiasi, preferibilmente con pareti chiare); accendiamo la luce bianca e prepariamo su di una lastra di vetro quello che vogliamo fotogrammare.
Ecco: forbici, occhiali, cominciamo con degli oggetti riconoscibili, una spilla, un rocchetto di filo e due orecchini; disponiamo tutto in un certo ordine e poi spegniamo la luce bianca ed accendiamo quella rossa. Ora possiamo tirar fuori la carta sensibile che infiliamo sotto la lastra di vetro sulla quale sono gli oggetti. Pronti. Accendiamo per alcuni secondi la luce bianca: tac, uno, due, tac; ecco fatto. Tiriamo fuori la carta, la passiamo nello sviluppo e nel fissaggio e dopo un poco accendiamo la luce bianca, alla quale vedremo l’impronta degli oggetti come nella figura.
Bruno Munari
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