Rawsht Twana e Stefano Carini di Darst Project, ci hanno raccontato attraverso le immagini, un paese che dista poche ore di volo da noi e che purtroppo associamo solamente alla parola guerra: l’Iraq. Attraverso le loro voci abbiamo potuto immergerci in una realtà che conosciamo poco e capire che l’Iraq non è solo ciò che abbiamo sempre visto al telegiornale negli anni passati.
Dalla guerra alla vita quotidiana
Ci sono paesi che per anni vengono trascurati dalle testate giornalistiche e poi, per qualche particolare evento, diventano scenario delle principali notizie internazionali. Così è successo all’Iraq che, dopo anni di silenzio, è diventato il centro dell’informazione con la guerra del Golfo. Immagini di esplosioni hanno invaso telegiornali e riviste. Parlare della guerra è doveroso e necessario, ma l’Iraq non è solo questo.
Stefano Carini, fotografo editoriale inizia a raccontarci la sua storia e di come è nato il suo rapporto con il paese. Nel 2014 gli è capitata l’occasione di incontrare un fotografo iracheno fondatore in Iraq dell’agenzia fotografica Metrography e ha iniziato a lavorare per lui. Ha vissuto nel Kurdistan iracheno, nel Nord, e ciò gli ha permesso di conoscere i fotografi locali. Ogni persona in un contesto straniero vede la realtà con il suo sguardo sul mondo che però è filtrato dalla sua cultura. Incontrare persone del posto ha permesso a Stefano di vedere all’opera fotografi che non avevano uno sguardo su un mondo “esotico” come poteva avere lui, ma che fotografavano una realtà che conoscevano bene perché apparteneva loro.
Stefano ha così iniziato a raccogliere immagini di un Iraq in pace. Ha compreso che era l’occasione buona per dimostrare al mondo che l’Iraq non fosse solo guerra e distruzione. Bisognava incentivare i fotografi locali a raccontare con i loro occhi il loro paese, a scattare per ricordare e far ricordare agli altri.
Era passato poco tempo da quando lui era lì che Mosul è caduta nelle mani dello stato islamico; la pace era di nuovo alla fine. Due giorni dopo, il fotografo che gli aveva procurato il lavoro è stato ferito al fronte, rapito da Isis e di lui non si è più saputo nulla. Stefano e gli altri fotografi hanno deciso di continuare a lavorare come fotografi editoriali nonostante le difficoltà.
La vita non si ferma
Essere iracheni ha permesso ai fotografi dell’agenzia di accedere al campo più facilmente. Fotografare la guerra è inevitabile, ma questi fotografi hanno voluto dimostrare che la vita non si ferma. Il territorio di confine con il nemico può essere più o meno lontano, la consapevolezza dell’esistenza della guerra pure e in ogni momento la situazione può cambiare, ma l’uomo è fatto per sopravvivere. Stefano e Rawsht ci hanno mostrato le immagini catturate da questi fotografi. Ci sono fotografie di fucili e di bambini in giostra, di famiglie nella loro casa e di soldati. L’esigenza è quella di mostrare che la guerra c’è, ma la vita va avanti. Stefano ci tiene a precisare che per sensazionalità di una notizia, vengono spesso vendute a giornali le immagini di donne soldato. I giornali vogliono le foto per diffondere l’informazione delle donne che combattono, ma non è sempre vero e questo può accadere anche con altre immagini perché, purtroppo sono molte le testate a puntare sull’attenzione che una determinata immagine può destare.
Una serie molto interessante mostrata da Stefano è Situations di Ali Arkady, progetto durato dieci anni in cui vengono accostate a coppie immagini che mostrano i due volti del del paese: attori teatrali che recitano a Bagdad e missili, un matrimonio festoso e una donna che grida dopo aver visto la sua casa distrutta. Sono diverse facce dell’Iraq, ma è sempre lo stesso posto. Bisogna mostrare al mondo anche il lato che è stato dimenticato. Un altro progetto dal forte impatto visivo che ha stupito un po’ tutti è quello della fotografa Seivan Salim che ha immortalato in una serie di ritratti delle donne yazide (religione che ha elementi di Islam, cristianesimo e zoroastrismo) vittime di stupro da parte dell’Isis che perseguita violentemente questo credo. Una violenza è spesso vista come una “perdita di purezza”, ma l’autrice ha deciso di non riprenderle di schiena, bensì frontali (sebbene con il volto coperto) e con l’abito da sposa. Segno che non ci si deve vergognare di un gesto di cui non si è responsabili.
Rawsht Twana e il progetto Map of displacement
Rawsht Twana ci racconta la sua esperienza come fotografo. Nonostante i problemi di lingua (parla solo inglese) riusciamo a capirci grazie alla traduzione di Stefano. Giovane fotografo curdo, ha iniziato a dedicarsi alla fotografia quando ha trovato l’archivio fotografico del padre.
Ci mostra uno dei tanti progetti dell’agenzia a cui lui ha collaborato: Map of Displacement. Al mondo ogni giorno ci sono tante persone che migrano per necessità. Con l’avanzare dell’Isis, molti rifugiati iracheni hanno abbandonato le loro case per trasferirsi a Nord, nella regione del Kurdistan. I media si concentrano sugli spostamenti geografici del conflitto, ma spesso gli spostamenti umani di chi scappa dalla guerra vengono trascurati.
La mappa di questi spostamenti è diventata così un progetto multimediale che ha messo insieme dodici storie per immagini. In questo modo, storie di vita vengono fissate dalla macchina fotografica e dalle parole di uno scrittore (che può essere anche il fotografo stesso) per arrivare fino a noi. Sul sito potete vedere alcuni dei lavori di questi fotografi (link). Rawsht ci racconta alcuni dei suoi lavori di questo progetto: il primo reportage che ci fa vedere riguarda due fratellini orfani sfollati dall’orfanotrofio che vivono con uno zio: Milad, di 9 anni e Wissam di 11. Per non perdere l’anno scolastico, questi due bambini sono dovuti tornare in orfanatrofio. Rawsht, dapprima titubante, ha deciso di seguirli. Attraverso il suo obiettivo ha immortalato la vita dei bambini assieme agli zii nella loro sartoria e il loro ritorno in orfanotrofio per riprendere gli studi. Al momento della partenza, le facce dei fratellini sono imbronciate, ma vediamo altre foto in cui tornano a seguire le lezioni e giocano in un orfanotrofio cristiano, religione duramente perseguitata da Isis.
La seconda storia che ha raccontato, riguarda Mohammed, un insegnante che anche senza libri ha messo in piedi una scuola e si occupa dell’educazione di una classe di bambini che vivono in un edificio non terminato. “Non uso libri scolastici, ma l’unica cosa importante è che questi bambini imparino qualcosa.” Dichiara questo intrepido maestro. Segno che la vita non si ferma anche in questo caso.
L’Iraq del passato: l’archivio fotografico
Il padre di Rawst, Twana Abdullah, è stato ucciso nel ’92. Una valigia piena di suoi negativi è stata consegnata a Rawsht anni dopo dalla madre ed è stato quello il momento in cui ha deciso di dedicarsi alla fotografia. Non sapeva cosa fotografare, né se sarebbe stata la sua strada ma voleva ricostruire la storia di suo padre e delle generazioni passate. Il lavoro è stato lungo e faticoso. Grazie ad un amico tedesco si è procurato un proiettore e ha passato l’incredibile tempo di dieci ore al giorno per un anno a sviluppare le fotografie. La maggior parte erano ritratti (il padre aveva uno studio). Possiamo osservare le figure degli anni ’70 che vengono proiettate: fotografie dei genitori di Rawsht, uscite con gli amici (in cui bevono e fumano, per sfatare un luogo comune), partite di calcio, nascita di un figlio, manifestazioni. Un sogno di suo padre si è realizzato: il suo archivio fotografico, dopo anni di lavoro, è diventata parte di una mostra a Praga. Non ha potuto vedere questo progetto realizzarsi in vita, ma i suoi scatti sono arrivati fino a noi.
Il futuro
Il lavoro di Rawsht, insieme a quello di altri fotografi locali ed insieme ad una parte delle fotografie dell’archivio del padre di Rawsht, sono esposte a Praga al centro per l’arte contemporanea. La mostra è anche un libro dal titolo “Over my eyes” (di cui una copia è consultabile in sede) e Stefano sta lavorando per trovare un luogo idoneo dove possa essere ospitata anche a Torino.
Stefano sta concludendo il suo libro sulla sua esperienza in Iraq: “La donna, la luna e il serpente“.
Rawsht vive ora a Torino e sta eseguendo tutte le pratiche per la richiesta d’asilo e la sua famiglia possa ricongiungersi con lui. La situazione nella sua regione è piuttosto confusa e le notizie che arrivano fino a noi lo fanno con pauroso ritardo: impossibile fare sull’area ipotesi realistiche di evoluzione dello stato di fatto. Metrography è la prima agenzia fotografica irachena indipendente grazie alla quale possiamo vedere con gli occhi di chi ci vive l’Iraq e il Kurdistan. L’augurio che possiamo fare è che in qualsiasi angolo di mondo chiunque possa prendere una macchina fotografica per raccontare realtà scomode, denunciare o semplicemente, tramandare.
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