L’ultimo, straordinario lavoro del fotografo brasiliano Salgado in mostra presso la Reggia di Venaria fino a Settembre: siamo andati a vederlo e ne siamo rimasti estasiati!
Vogliamo condividere con voi le nostre impressioni e un po’ di informazioni sull’autore e la sua opera per prepararvi alla Vostra visita a “GENESI” di Sebastião Salgado!
Genesi
Quello che ci ha soddisfatti è prima di tutto la quantità di immagini presenti alla mostra: un’opera grandiosa di più di duecento fotografie scattate durante un viaggio durato dieci anni. Tale mole ci ha riempito gli occhi e l’anima seguendo il viaggio di Salgado incominciato nel 2003 in giro per il mondo, alla scoperta di luoghi e paesaggi di estrema bellezza ed ancora incontaminati. Il suo obiettivo ci mostra come “circa metà del pianeta sia rimasto esattamente come nel giorno della Genesi”.
La mostra
L’esposizione è divisa in cinque sezioni che ripercorrono le terre in cui Salgado ha realizzato le fotografie: Pianeta Sud, Santuari, Africa, Le Terre del Nord, Amazzonia e Pantanal. Scatti in bianco e nero che vedono protagonisti animali, paesaggi ed esseri viventi in perfetta armonia ed equilibrio con la natura.
Filo conduttore è il tema della preservazione del nostro pianeta e della necessità di vivere in un rapporto più armonico con il nostro ambiente.
I paesaggi e gli animali
Salgado ci accompagna tra le colonie di pinguini e di elefanti marini nei ghiacciai della Patagonia, nella lussureggiante vegetazione del Madagascar e dell’Indonesia, tra le dune più antiche del pianeta in Africa, attraverso i grandi canyon del Nord dell’America…
Molte fotografie sono dunque di straordinari paesaggi e di animali impressi nel suo obiettivo attraverso un lungo lavoro di immedesimazione con il loro habitat. Salgado ha infatti vissuto in questi anni in tutti i luoghi da lui immortalati rispondendo al richiamo annuale della natura alla migrazione.
Si percepisce come egli abbia fatto suo ciascun luogo sentendolo come la propria casa.
Le popolazioni indigene
E questa percezione si ha ancora di più guardando le fotografie dedicate alle popolazioni indigene ancora vergini. Gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana, i Pigmei delle foreste equatoriali nel Congo settentrionale, i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica, le tribù Himba del deserto della Namibia e quelle più remote delle foreste della Nuova Guinea.
Per riuscire a fotografare questi popoli nel loro habitat e durante le loro attività quotidiane, immaginiamo che l’artista abbia dovuto conquistare la fiducia di queste persone che così naturalmente e senza reticenze si prestano al suo obiettivo.
Il messaggio del fotografo
Ci lasciamo trasportare dalle immagini raccolte durante il suo viaggio. Un viaggio consapevole, alle origini del mondo fatto e trasmessoci per preservare il suo futuro.
Questo messaggio è chiaro ed inequivocabile a nostro parere.
Ed è proprio questo lo scopo dell’autore, come scopriamo dalle parole della curatrice della mostra, Lélia Wanick Salgado, moglie del grande fotografo. “Genesi è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per tutto tranne che per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. Fotografie, quelle di Genesi, che aspirano a rivelare tale incanto; un tributo visivo a un pianeta fragile che tutti abbiamo il dovere di proteggere”.
“Genesi” è dunque una sorta di grido di allarme e un monito affinché si cerchi di preservare queste zone ancora incontaminate, per far sì che, nel tempo che viviamo, lo sviluppo non sia sinonimo di distruzione.
Il bianco e nero
Ecco anche perché Salgado scatta in bianco e nero: “Per me il bianco e nero è un’astrazione, è un modo di concentrarmi, di non distogliere la mia attenzione da quello che è il vero oggetto del mio interesse. C’è tutta una serie, una sfumatura di grigi diversi che mi consentono di trasferire quello che mi interessa. E sono assolutamente certo che nel momento in cui tu guardi quella foto, in un certo senso tu vedrai dei colori, glieli attribuirai tu.”
Il bianco e nero dunque come mezzo per focalizzare la nostra attenzione sul messaggio che Salgado vuole trasmetterci.
L’impegno concreto
Scopriamo poi che i cognugi Salgado hanno creato 15 anni fa in Brasile l’Instituto Terra che ha riconvertito alla foresta equatoriale,che era a rischio di sparizione, una larga area in cui sono stati piantati circa due milioni di alberi e in cui la vita della natura è tornata a fluire. L’Instituto Terra è una delle più efficaci realizzazioni pratiche al mondo di rinnovamento del territorio naturale.
Queste informazioni rendono maggiormente tangibile e concreto l’impegno del fotografo nel diffondere a tutto il pianeta questa impellente necessità di preservare.
La consigliamo!
La bellezza delle fotografie, dei soggetti e il messaggio dell’artista ci sono arrivati dritti al cuore.
L’impegno di preservare il nostro pianeta deve essere di tutti, ed è per questo che assolutamente consigliamo la mostra: per imparare dall’occhio di questo grande fotografo e per riflettere su quanta bellezza sa donare il nostro pianeta.
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