Quasi per caso abbiamo avuto l’occasione di conoscere i fotografi Rawsht Twana e Stefano Carini – [in verità c’è lo zampino di Rossana, che ci ha messi in contatto (grazie Ross!)] e di fissare una serata per parlare con loro di reportage e di una terra, l’Iraq, alla quale tutti noi leghiamo immagini di guerra. Quella in Iraq è stata la prima guerra ad essere entrata nelle nostre cucine all’ora di cena attraverso i tg della sera e tutti ricordiamo le riprese notturne, con il cielo solcato dalle scie verdi dei bombardamenti. Ma siamo sicuri che l’Iraq sia solo questo? Cosa ne sappiamo veramente? Lo sappiamo collocare geograficamente in un mappamondo?
E’ stato un incontro breve e densissimo quello con Stefano e Rawsht:
Di cosa vi occupate? Avete fotografato la guerra? Non solo? Cosa c’entrano le fotografie di tuo padre Rawsht? Ci sono rifugiati anche in Iraq? Cosa vuol dire fare il fotografo in Iraq?
Martedì 28 novembre 2017 avremo modo di approfondire e chiarirci le idee. Sarà un Raduno Tribale speciale, davvero da non perdere.
Nel corso della serata il fotografo Iracheno Rawsht Twana e l’editor Torinese Stefano Carini presenteranno il lavoro fotografico svolto insieme in Iraq tra il 2014 ed oggi. Attingendo alla loro esperienza professionale sul campo. Sullo sfondo di uno slideshow di presentazione di diversi lavori fotografici, i due autori parleranno delle difficoltà di lavorare nella regione, degli scontri con il mondo dei media internazionali, e dell’esperienza di documentare la più grande catastrofe umanitaria dalla Seconda Guerra Mondiale. Nel corso dell’incontro inoltre presenteranno il libro di Over My Eyes, progetto esposto al centro di arte contemporanea di Praga, e che sarà l’anno prossimo esposto a Torino.
OVER MY EYES, storie dell’Iraq – Un progetto di Stefano Carini e Dario Bosio
Quali sono le immagini che di solito vediamo e associamo all’Iraq?
Guerra, violenza, miliziani, crisi umanitarie, campi rifugiati – sono queste le immagini propagate dai media e attraverso le quali “conosciamo” questo Paese intrappolato in un conflitto le cui conseguenze hanno da tempo oltrepassato i suoi confini.
La mostra OVER MY EYES offre una prospettiva diversa sull’Iraq.
Attraverso lo sguardo di una giovane generazione di fotografi locali, il progetto presenta quei frammenti di realtà che non sono spesso documentati, ma che costituiscono la vita quotidiana degli Iracheni: dalle vaste montagne ai confini settentrionali del Paese, alle più disparate situazioni in ogni angolo dell’Iraq, con un passato che si ripropone in forma di flashback sfocati e il futuro che porta con se le conseguenze del conflitto in corso.
Grazie ad un accesso senza precedenti e una profonda conoscenza del luogo e delle sue dinamiche, i fotografi ci portano incredibilmente vicini alla loro terra, i suoi popoli, le loro storie e una vita che va avanti nonostante la guerra.
“Over my eyes” è libro acquistabile qui.
MAP OF DISPLACEMENT
Il progetto Map of Displacement raccoglie le storie dei rifugiati iracheni che in seguito all’avanzata dell’Isis sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per trasferirsi a Nord, nella regione del Kurdistan. Mentre la stampa internazionale si è concentrata sugli avvenimenti al fronte, sono stati oltre un milione i profughi che hanno vissuto le conseguenze del conflitto, documentati solo dai rapporti delle Nazioni Unite.
La mappa di questi spostamenti è diventata così un progetto multimediale che ha messo insieme dodici storie per immagini: Mohammed, un insegnante che anche senza libri ha messo in piedi una scuola e si occupa dell’educazione di una classe di bambini, il tredicenne Al che ha trovato rifugio in un piccolo villaggio dove lavora come macellaio, le famiglie raccontate attraverso gli oggetti che portano con sè e altre.
A lavorarci per un anno sono stati ifotografi di Metrography , la prima agenzia irachena indipendente, che ha diffuso queste storie fuori dai luoghi di provenienza. Fondata nel 2009 dal fotografo iracheno Kamaran Najm e dal fotogiornalista americano Sebastian Meyer, Metrography mescola le competenze dei fotografi locali che conoscono lingua e territorio e sono stati profughi a loro volta nel 1991 con le esperienze di fotografi e editor di altre nazionalità come Stefano Carini che ha diretto l’agenzia dal 2014 e che con Dario Bosio ha curato Map of Displacement. Le storie sono state raccolte con il contributo di uno staff di scrittori e giornalisti, che ha scelto una narrazione «slow» di approfondimento, abbandonando la modalità iniziale che stava dietro alle breaking news.
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